mercoledì 2 luglio 2008

Cinquant'anni dopo.

Il 14 e 15 Giugno 2008 è stato festeggiato il cinquantesimo anniversario dalla conclusione del 9° Corso Allievi Sottufficiali dei Carabinieri. La celebrazione è avvenuta presso la Scuola Allievi Marescialli dei Carabinieri, a Firenze, già Scuola Allievi Sottufficiali. Su oltre 1000 allievi dell'epoca, ci siamo ritrovati in 170, circa, molti dei quali accompagnati dalle consorti. Rivedere quei luoghi familiari, respirare quell'aria impregnata di disciplina, attraversare ancora il cortile con il monumento al Carabiniere, che si doveva a quel tempo percorrere sempre di corsa, tutto ciò mi provocò un senso di ubriachezza e di estasi. A mia moglie, che stava al mio fiano, dicevo come in trance " vedi, da quì si va verso le camerate, da quì verso l'Aula Magna, da quì verso le aule...". Fummo avviati alla sala-mensa dove, tra un brusio indescrivibile, avvicinandoci l'un l'altro, " ma tu sei..... e tu......e tu.....". I nomi, i visi, tornavano alla memoria come se ci fossimo separati da appena un giorno. E lì, abbracci, baci, vigorose strette di mano, presentazioni delle rispettive consorti. " Ti ricordi quando...... e quando.....". Le rievocazioni si incrociavano, ognuno ricordava situazioni dove l'altro era stato coinvolto. Ad un certo punto qualcuno mi disse:
" guarda, c'è Abbatiello": un distinto, giovanile signore, mi stava davanti e mi sorrideva " ciao, sono Abbatiello, come stai? non sei cambiato...." e, rivolto a mia moglie, " tu dovresti essere E., ti ricordi ancora di me? Conservo una vostra foto di quando avevamo tutti cinquant'anni di meno". L'emozione ci sopraffece, qualche lacrimuccia sgorgò dai miei occhi. Il mese di esperimento di fine corso scorse davanti ai miei occhi come in un film. Mi ero appena ripreso dalla commozione quando qualcun'altro mi disse: " guarda, c'è anche Ruvolo ". Non lo ricordavo così: nella mente avevo la figura di un bel ragazzo alto, magro, sempre sorridente, con quell'aria tipica da "romanaccio", con quello squardo da prenderti quasi in giro. Vedevo ora una persona distinta, fisicamente appesantita, ma i tratti del viso ( anche se un pò deformati dal tempo), lo sguardo, l'atteggiamento, erano gli stessi. Ci abbracciammo con tutte le forze, balbettando frasi sconnesse, felici di esserci ritrovati. Sentivamo che la nostra sincera amicizia era rimasta immutata, e giù ad evocare ricordi, episodi tristi e allegri. Raccontai l'episodio delle 1000 lire del Colonnello, a Moncalieri. Ad un certo punto Abbatiello mi disse: " Ricordi Cabibbo? ", "certo, gli risposi, dov'è?". " non è più tra noi: subito dopo la nomina a ViceBrigadiere, pochi giorni dopo essere arrivato alla sua sede territoriale, si trovava in auto assieme al comandante dei Vigili Urbani. In un incidente stradale perse la vita, cinquant'anni fa ", mi rispose tristemente. In quell'istante notizia peggiore non poteva giungermi: mi sentii gelare il sangue nelle vene, sbiancai in volto; non ne sapevo niente. L'amico più caro, compagno della mia prima giovinezza, non c'era più: piansi, sinceramente addolorato ma, ad un certo punto sentii qualcuno che chiamava " Pino !". Un solo collega mi chiamava così durante la scuola allievi: Rossiello. Furono altri abbracci, altri ricordi cari cancellarono quasi la tristezza di prima. Mi si avvicinò Toldo, chiamandomi per nome, mi fece vedere alcune foto, io gliene feci vedere altre. Tra queste ne vide una che raffigurava me e Vignali, a Moncalieri. Mi disse che loro due si vedevano spesso, abitando nella stessa città, Parma, e mi diede, oltre al suo, il recapito telefonico di Vignali. Ora spesso mi metto in contatto con i miei amici, telefonicamente o via e-mail: non voglio più restare lontano da loro, anche se fisicamente lo saremo sempre. Rividi anche Catalano che, da sottufficiale prestò servizio a Milano, insieme a me: lui era alla Tenenza Ticinese, io alla Stazione di Porta Genova.
Cenammo tutti insieme, nella stessa sala mensa dove cinquant'anni prima consumavamo i pasti: il brusio era alto, tutti si scambiavano ricordi.
Il successivo 15 giugno, ci ritrovammo tutti nel chiostro di Santa Maria Novella, insieme a due Generali in servizio ( uno di Divisione, Comandante della Scuola Allievi Marescialli, l'altro di Brigata, Capo di Stato Maggiore) per assistere alla Santa Messa officiata da un Cappellano Militare. Erano in servizio d'onore due allievi, un ragazzo e una ragazza, in uniforme turchina. Ammirando quella divisa, con il filetto dorato attorno agli alamari, la stessa divisa che tanti anni prima avevo indossato, provai una sorta di angoscia: perchè il destino non volle che proseguissi nella carriera militare, come avevano invece fatto tutti i miei colleghi, carriera che era sempre stata il mio sogno?
Ma così và la vita, bisogna accettare tutto quello che ci offre senza rimpianti o recriminazioni.
Come Dio volle, la mattinata passò con velocità incredibile; ci ritrovammo tutti a pranzo e dopo.... gli addii. Abbracci, strette di mano, raccomandazioni di restare in contatto, scambi di numeri telefonici. Qualche lacrimuccia spuntava da molti occhi, compresi i miei. Il rientro a San Giustino fu piuttosto veloce anche perchè le frasi che scambiavo con mia moglie vertevano tutte sullo stesso argomento. Quei due giorni a Firenze resteranno sempre scolpiti nel mio cuore , insieme alla speranza di poter rivedere almeno qualcuno di loro, Dio permettendo.
Ho voluto ora con queste poche note, rivivere il passato, non per mettere in evidenza " la mia bravura" o i miei successi con le ragazze, ma per ordinare, almeno in parte, i miei ricordi e per dare modo a chi mi sopravviverà, di meglio conoscere il loro nonno o bisnonno o trisnonno. Chi avesse la pazienza di leggermi fino in fondo, perdoni qualche scorrettezza o qualche confusione e stia certo che avrà comunque il mio sincero "grazie".
Comunque quel sogno che ho cullato sin da ragazzo non si è mai sopito: la sola vista di un uomo in divisa da Carabinere lo fa sempre rivivere.
VIVA L'ARMA DEI CARABINIERI.
Giuseppe Zappalà.

P.S. : Se qualcuno volesse visitare il sito internet di mia moglie (http://www.elidemaurizi.it/) che fa la pittrice , mi farebbe enormemente piacere.

Conclusione.

Avrei tantissimi altri episodi da raccontare, vissuti durante la mia giovinezza e durante la mia vita sia militare che civile, ma non voglio ulteriormente approfittare di coloro che avranno il coraggio e la pazienza di leggermi fino in fondo ( come quella volta che, insieme con il mio amico Cabibbo, mi arrampicai tra i rami di un albero per fumare assieme a lui un intero pacchetto di sigarette Mentolo), ma non intendo concludere senza fare cenno a quanto intensamente vissuto pochi giorni fa.

In pensione.

Le mie attività nella vita civile mi procurarono una modesta pensione che, sommata a quella che percepisco per l'infermità contratta durante la mia breve carriera militare, mi garantisce la "sopravvivenza".
Ora passo il tempo dedicandomi all'assemblaggio di modellini navali. Ne ho costruiti tanti: il Titanic, la Victory, il Baunty, le tre caravelle di Colombo, il Cutty Sark, il San Giovanni Battista, il Mississipi 1970 ( il famoso battello fluviale spinto dalla grande ruota a poppa), e tanti altri. Ho adesso tra le mani l'Amerigo Vespucci e la Corazzata Bismark.
Ho due nipotine che adoro. Spesso le aiuto nei compiti di scuola, anche se sono già molto brave.
Nel prossimo anno scolastico la maggiore frequenterà la prima classe del Liceo Linguistico, mentre la piccolina affronterà le fatiche della prima Media.
A volte mi diverto in cucina a preparare pietanze siciliane e infine mi piace molto stare davanti al computer e giocare, in modo assolutamente gratuito, al poker americano con altri giocatori di tutto il mondo.

martedì 1 luglio 2008

Mia Madre.

Per pochi anni mia Madre occupò l'appartamentino dei miei suoceri; poi gli stessi locali necessitavano a mio cognato che si era sposato. Così approntai per lei una parte del mio ufficio e ve la feci trasferire. Consumava i pasti e dormiva nella sovrastante mansarda e, quando ero in ufficio, si siedeva vicino a una finestra e mi guardava lavorare. Quello sguardo fisso su di me mi dava all'inizio un certo fastidio, ma poi...per quanto tempo ho rimpianto quello sguardo che non sentivo più! Si ammalò: subì prima un infarto e poi un ictus. Fu ricoverata all'ospedale di Città di Castello, poi a quello di Perugia, a Monteluce e poi al Silvestrini. Tornata a casa, continuò ad aggravarsi, tanto da essere ancora ricoverata presso l'ospedale di Sansepolcro. Mentre ve la trasportavano mi disse che era stanca, molto stanca, e che era giunto il momento del riposo eterno. Disse ancora che se ne andava tranquilla, certa che restavo in buone mani; e poi c'era adesso la mia nipotina, che mi avrebbe fatto pensare ad altro. Tre giorni dopo, alle 13 in punto, mi trovavo ancora in ufficio. Mia moglie e mio figlio erano in ospedale ad assistere mia Madre. Ad un tratto sentii provenire dalla mansarda un rumore come di passi, chiarissimo. Com'era possibile, non c'era nessuno ! Pochi minuti dopo giunse mio figlio: aveva le lacrime agli occhi. Mi disse che la sua nonna alle 13 precise se ne era andata per sempre. Solo allora capii il significato di quei passi in mansarda: la mia cara Mamma, nel lasciare questo mondo, era passata a guardarmi ancora una volta e a salutarmi per sempre. Era il 4 maggio del 1995.

Ancora disillusioni.

Sembrava che il mondo assicurativo, a me gradito, in qualche modo mi respingesse.
Avvenne che un dirigente della Compagnia SIAD SpA proponesse a un noto personaggio perugino, proprietario di alcune testate giornalistiche, un mandato di agente. Si sentì rispondere che la cosa poteva essere presa in considerazione solo se si fosse trattato di una agenzia Regionale. Senza esitazione, il dirigente fece revocare tutti gli agenti dell'Umbria, ne riunì i portafogli che assegnò al nuovo agente. Convinse tutti i vecchi agenti, me compreso, a fare da subagenti, gestendo ognuno la propria clientela, facendo promesse mai mantenute. Deglutii il rospo, anche perchè mi venne liquidata una buona somma ( che utilizzai per contribuire alle spese per il matrimonio di mio figlio e per dare un sostanzioso acconto per l'acquisto della casa che tuttora abito) Dopo pochi mesi di collaborazione, ebbi uno scontro con l'agente e mi dimisi.
Conoscevo un mio coetaneo che faceva l'ispettore organizzativo per la Nationale SpA. Mi propose un mandato di agenzia per San Giustino che accettai con entusiasmo. Stornai il portafoglio accumulato con la SIAD, superando agevolmente tutti gli ostacoli che l'agente mi metteva davanti. La nuova agenzia crebbe molto velocemente, anche perchè ebbi la fortuna di servirmi di validi collaboratori. Gestii in modo fiduciario l'agenzia di Arezzo e quella di Bastia Umbra, i cui agenti avevano cambiato bandiera. La compagnia, alcuni anni dopo, cambiò la ragione sociale in MMI SpA e nel marzo del 2003 chiuse il contratto di agenzia a seguito del raggiungimento da parte mia dell'età pensionabile.

Il rientro a San Giustino.

Il giorno prima del rientro dalle vacanze a Giarre, un mio zio, Sebastiano, fratello di mia Madre, volle che lo accompagnassi a fare rifornimento di un'acqua speciale. In auto aveva diversi contenitori pieni di bottiglie a chiusura ermetica, vuote. Percorrendo una strada sterrata, giungemmo in una piccola radura, sull'Etna, e ci fermammo a pochi metri dall'ultima colata lavica, ormai fredda e pietrificata. C'era una piccola fontanella dalla quale fuoriusciva un getto d'acqua freschissima di un gusto gradevolissimo. Riempimmo tutte le bottiglie che avevamo e tornammo indietro. La mattina dopo, prima della nostra partenza, mio zio volle regalarmi un buon numero di quelle bottiglie, dicendomi che l'acqua contenuta si sarebbe mantenuta freschissima durante tutto il viaggio di ritorno ed anche oltre. Fui scettico ma non lo diedi a vedere: non volevo dare un dispiacere a mio zio che volle anche donarmi una somma di danaro più che sufficiente , non solo a coprire tutte le spese sostenute fino a quel giorno, ma anche da avanzarne abbondantemente. Circa l'acqua, dovetti ricredermi: quella consumata durante il viaggio fatto sotto un sole cocente, e quella avanzata per i giorni successivi aveva la stessa freschezza e lo stesso sapore di quando era appena sgorgata dalla fontanella sull'Etna.
Durante la mia permanenza a Giarre, andai a far visita a quasi tutti i parenti che mi erano rimasti, zii e cugini, compreso mio zio Nunzio, fratello di mio Padre, che non godeva più di una buona salute. Viveva con sua figlia, mia cugina Angelina, una ragazza della mia età, piuttosto scialba e molto segnata dalle dure fatiche che doveva continuamente sostenere. Era rimasta nubile per accudire il padre infermo e per occuparsi del fratello minore, Luciano, dopo che sua madre, mia zia Santina, era improvvisamente deceduta parecchi anni prima. Povera Angelina, che vita aveva dovuto vivere! Eppure era sempre sorridente, aveva accettato quella vita con gioia e senza alcun rimpianto. Naturalmente piansi e pregai sulla tomba di mio Padre che da quasi tre decenni riposava nel Cimitero di Giarre sotto un modesto monumento tombale.
Il viaggio di ritorno fu tranquillissimo. Giungemmo a San Giustino a notte inoltrata. Il mattino dopo, al risveglio, mia moglie mi raccontò il sogno appena fatto: aveva visto sè stessa, all'interno dell'auto lanciata a tutta velocità in autostrada. Guardando da un finestrino, aveva visto suo Padre, deceduto qualche mese prima, che correva al fianco dell'auto, curvo in avanti come se sostenesse un grande peso. Non seppi dare alcuna spiegazione al sogno, ma ne capii il significato il giorno dopo: un mio amico mi aveva chiesto in prestito l'auto per andare a Sant'Angelo in Vado. Durante il tragitto l'auto aveva avuto un guasto importante: si era spezzato di netto il semiasse della ruota posteriore sinistra, la stessa parte dalla quale mia moglie aveva visto suo Padre correre affiancato all'auto, come a sostenerla. Il guasto non ebbe, per fortuna, conseguenze tragiche, pur viaggiando il mio amico su una strada di montagna. Le continue curve e la bassa velocità avevano fatto sì che l'auto si fermasse sul ciglio di un burrone.

Le vacanze a Giarre.


Avevo di recente acquistato una Citroen-Maserati usata, targata FO. Nell'estate del 1983, con mio figlio diciottenne e con mia moglie, in auto, partii per Giarre con l'intento di trascorrervi un breve periodo di vacanza. Dopo un viaggio di circa 1.100 Km. vi giunsi fresco e riposato come se avessi percorso poche decine di km. Una mia zia, Sarina, sorella di mia Madre, volle ospitarci nella sua casa, mettendocela a completa disposizione, mentre lei rimaneva ospite di un mio cugino. Durante tutti gli 11 giorni della nostra permanenza a Giarre, mai consumammo un pasto in casa: cambiavamo ogni sera ristorante, gustando tutte le specilità locali, ma i pranzi li consumammo tutti in un ristorante di Torre, una vicina frazione di Giarre. Il locale era specializzato nella preparazione del pesce che gustammo preparato in mille modi. Il proprietario, saputo che ero un compaesano in vacanza, ci riservò un trattamento speciale, al punto che ogni volta spendevo una cifra quasi irrisoria. Una sera cenammo in un locale approntato su di una piattaforma formata da robusti tavoloni e costruita sul mare, a circa 20 metri dalla riva. Vi si accedeva attraverso un pontile, sempre in legno, poggiato su grossi tronchi infissi nel fondo marino. Tutto il complesso aveva vita stagionale: alla fine dell'estate veniva completamente smontato per essere ricostruito l'anno successivo. Avveniva che alcune barche di pescatori si avvicinavano alla piattaforma, offrendo agli avventori il pescato: ognuno sceglieva il pesce preferito che passava, per così dire, dal mare alla padella. Al ristoratore veniva pagata solo la preparazione dei vari piatti, mentre la materia prima veniva pagata direttamente al pescatore.
Quei giorni passarono in un baleno.

Il nuovo mandato di agente.


Misi una inserzione sulla Nazione, nella sezione richiesta di lavoro. Fui contattato da un ispettore della "Cosida Assicurazioni SpA". Mi venne rilasciato il mandato di Agente Generale per la zona di Sansepolcro, trovai gli uffici e iniziai a lavorare. Dopo circa un anno e mezzo, la compagnia, in stato fallimentare, fu assorbita dalla SIAD SpA, una compagnia di nuova costituzione destinata ad assorbire le compagnie in difficoltà. Con l'aiuto della mia Mamma, che nel frattempo avevo fatto trasferire a San Giustino, nello stesso appartamentino dei miei suoceri che avevo già occupato io, acquistai un appartamento al centro di San Giustino, in piazza Municipio, al secondo piano di un antico palazzo padronale. Per poter meglio tirare avanti, oltre a fare l'assicuratore, iniziai l'attività di consulente automobilistico. Presi il diploma di Ragioniere ( 60/60.mi) e mi misi a fare il commercialista. Aggiunsi un'altra attività: l'amministratore condominiale. Insomma è come se avessi installato quattro /cinque rubinetti dai quali scorreva un filo d'acqua: tutti i fili d'acqua riuniti formavano alla fine un sufficiente getto. Intanto mio figlio, conseguito anche lui il diploma di Ragioniere, presentò domanda per essere ammesso al corso ufficiali di complemento.
Quando mio figlio, superato il corso allievi ufficiali a Cesano di Roma, venne a casa per trascorrere la licenza di fine corso e me lo trovai davanti in divisa, con le stellette da Sottotenente sulle spalline, la fascia azzurra e la spada da Ufficiale, per poco l'emozione non mi sommerse. Vedevo in lui quello che non ero stato io e la commozione fu molto grande. Fu destinato, per svolgervi il servizio di prima nomina, a Gradisca di Isonzo, in provincia di Gorizia.
La prima volta che andammo a trovarlo, insieme alla fidanzata, sapendo che stavano per entrare in caserma i genitori dell'Ufficiale di Picchetto ( capitammo proprio in quell'occasione), il sergente al comando schierò la guardia, ordinando addirittura il presentat'armi. Volle che pranzassimo con lui alla mensa ufficiali, serviti da militari in giacca e guanti bianchi. Conoscemmo alcuni suoi colleghi, altri ufficiali più alti in grado ed anche il Colonnello Comandante. Ebbi la soddisfazione di sentirmi dire da questi che avevo un figlio veramente in gamba destinato ad una rapida carriera. Infatti, ultimato il servizio di prima nomina, declinò l'invito fattogli dal Colonnello di presentare domanda per la successiva ferma biennale, (garantendogli il suo aiuto per il passaggio in servizio permanente effettivo), e tornò a casa. Sono certo che se fossi riuscito a farlo entrare nell'Arma dei Carabinieri avrebbe continuato la carriera militare.

lunedì 30 giugno 2008

A San Giustino, finchè Dio lo vorrà.

I miei suoceri misero a nostra disposizione, provvisoriamente, un piccolo appartamento nella loro casa, che arredammo con l'indispensabile, in attesa di trovarne uno più grande. Ricoverammo il resto del mobilio nel sottostante locale adibito a laboratorio che mio suocero aveva utilizzato per i suoi lavori di piccola falegnameria. Mi misi subito alla ricerca sia dell'appartamento che del lavoro, sempre nel settore assicurativo. Trovai prima il lavoro. Venni assunto in qualità di ispettore commerciale dalla UCA, Difesa Automobilistica Sinistri, con Direzione a Verona, compagnia presso la quale avevo delle conoscenze. Il territorio assegnatomi comprendeva tutta l'Umbria e le province di Arezzo, Siena e Grosseto, in Toscana. Il mio incarico consisteva nel creare una rete di produzione e di incrementare quella già esistente che produceva un monte premi-incassi di poco superiore alle 50.000 lire annue. L'obiettivo era quello di raggiungere, entro due anni, un monte premi-incassi di almeno 1.600.000 lire mensili ( il costo di ciascuna polizza variava da 2.000 a 10.000 lire annue). Avevo uno stipendio mensile di 200.000 lire, oltre al rimborso delle spese, limitate a ulteriori 200.000 lire mensili. Comprai una vecchia fiat 500 ( aveva l'apertura delle portiere a favore del vento) , che ribattezzai "Rugginella", e con questa mi misi a girare tutta la zona assegnatami. Partivo di buon mattino, arrivando fino a Terni da una parte e fino a Grosseto dall'altra, pernottando a volte in alberghi appena decenti ( per limitare i costi) e rientrando a volte a tarda sera con nello stomaco un panino. Dopo circa 18 mesi di questa vita ( nel frattempo avevo trovato il nuovo appartamento, molto spazioso ed avevo ricevuto la comunicazione che il mio assegno pensionistico mi era stato concesso " a vita" - circa 250.000 lire mensili che provocarono a mia moglie e a me salti di gioia -) , fui convocato in Direzione, a Verona. Ivi giunto il direttore mi comunicò che, poichè l'obiettivo produttivo non era stato raggiunto ( tutta la mia zona da un incasso premi annui di 50.000 lire era passata ad un incasso mensile di quasi 1.000.000 di lire), era costretto a trasferirmi in Sicilia, con sede a Palermo. Gli risposi che come minimo era matto da legare, a meno che non mi quintuplicasse lo stipendio, mi ricoscesse un rimborso spese illimitato e " a piè di lista", mi rimborsasse il viaggio aereo settimanale per far ritorno a casa, riconoscendomi una indennità di rischio, contraesse e pagasse un'assicurazione sulla mia vita per un miliardo di lire a favore di mia moglie e di mio figlio e mettesse a mia disposizione un'adeguata vettura che doveva servire per i miei spostamenti in Sicilia. Mi guardava con un sorrisetto ironico sulle labbra e alla fine disse: niente di tutto questo, stesse condizioni economiche attuali. Lo mandai a quel paese. Mi rispose che entro due mesi avrei ricevuto la lettera di licenziamento." Faccia pure", gli risposi, e lo piantai in asso. Per i successivi due mesi non mi mossi più da casa. Intascai due mensilità e due rimborso-spese, senza spendere più una lira. Puntualmente, alla scadenza dei due mesi, mi pervenne la lettera di licenziamento che sottoposi all'esame del Pretore di Città di Castello il quale mi indirizzò ad un legale specializzato in Diritto del lavoro. Poco prima delle nuove festività natalizie incassai un assegno di 10 milioni di lire che l'avvocato aveva patteggiato per me, oltre a 2 milioni quale suo compenso. Fu festa due volte.

L'abbandono di Rho.

Messosi in pensione per limiti di età il dott. Barberis, Direttore della Rappresentanza per l'Italia della Zurigo Assicurazioni, assunse la direzione della stessa il vicedirettore citato nel paragrafo precedente. Mi aspettavo una sorta di ritorsione, ma non quella che fu messa in opera. Una volta alla settimana, per circa due mesi di fila, all'apertura dell'agenzia trovavo ad attendermi un ispettore amministrativo che ogni volta controllava tutto, anche gli appunti, oltre alle polizze, alle quietanze, alle rimesse di fondi e a tutte le altre azioni che doveva compiere un agente di assicurazioni. Una mattina giunse a controllare anche la carta straccia nel cestino dei rifiuti. La prima volta sopportai tranquillamente, poi cominciai a spazientirmi anche perchè ogni controllo durava almeno tre giorni e mi teneva legato in ufficio ad esaudire i capricci del sig. ispettore che, fino a che non aveva ultimato il controllo, teneva lui le chiavi del mio ufficio, consentendo l'accesso solo a quello di mio fratello. Ad ogni mia rimostranza rispondeva invariabilmente " ordini superiori ". Dopo circa due mesi di questa tortura, un bel mattino, trovando il solito "cane" davanti alla porta dell'agenzia, gli dissi: " stavolta caro il mio ispettore, non perderemo tre giorni di tempo. Non tocchi nulla, si sieda e attenda". Mi guardò interrogativamente. Mi sedetti alla macchina da scrivere, inserii due fogli di carta con l'intestazione della Compagnia, introdussi tra loro un foglio di carta carbone, e battei le mie dimissioni immediate da Agente Generale della Compagnia per la zona di Rho. Firmai in calce e porgendo l'originale della lettera all'ispettore lo invitai a sottoscrivere la copia per ricevuta, dicendogli " era questa che aspettava il sig. direttore, vero? Poteva dirlo subito e non avremmo perso così tanto tempo". Per tutta risposta, dopo avere intascato la lettera e dopo aver sottoscritto la copia mi disse: " venga domani in Direzione, c'è qualcosa per lei." e se ne andò. La mattina successiva mi recai in direzione dove fui avviato all'ufficio contabilità. Mi furono sottoposti i conteggi relativi alla mia liquidazione aggiornata giorno per giorno, secondo gli incassi e la nuova produzione ( il primo calcolo risaliva al giorno successivo all'insediamento del nuovo direttore). Eccezionalmente e in deroga a quanto previsto dall'accordo nazionale agenti di assicurazione mi fu garantito l'immediato pagamento delle mie spettanze, che pretesi in contanti. Firmai, incassai, consegnai il mio passi, intascai la dichiarazione dalla quale risultava il periodo in cui avevo operato come agente generale della compagnia ( mi sarebbe stata utile per ottenere l'iscrizione all'albo nazionale agenti di assicurazione di imminente costituzione e per ottenere un mandato da altra compagnia) e me ne andai. Il giorno successivo la mia agenzia aveva il suo nuovo agente, un mezzemaniche di origine rhodense che avevo avuto occasione di vedere dietro una scrivania in direzione. Solo più tardi capii che tutto era stato preordinato: il sinistro falso, le visite amministrative, tutto perchè a quel mezzemaniche faceva gola la mia agenzia. Naturalmente anche mio fratello dovette far fagotto, ma si sistemò subito in un'altro locale. Avrei potuto chiedere un'altro mandato a una compagnia non presente sul territorio, ma preferii andarmene, la clientela non avrebbe capito e sarebbe stata convinta che avessi commesso una qualche irregolarità.
Eravamo prossimi alle festività Natalizie; con la famigliola venni a San Giustino, parlai con i miei suoceri i quali mi spinsero a trasferirmici definitivamente.
Dopo le festività, nel gennaio del 1975, rientrai a Rho, disdissi il contratto di locazione, feci caricare su di un camion i miei mobili e partii definitivamente per San Giustino. Mia Madre pianse lacrime amare ma le promisi che l'avrei in qualche modo portata con me, presto.

Il vicedirettore della Compagnia.

Un bel mattino mi vidi invadere l'ufficio dal vicedirettore della Compagnia, accompagnato da un ispettore amministrativo, dal mio ispettore commerciale e da un altro personaggio che seppi poi essere un legale della Compagnia. Li feci accomodare e il vicedirettore subito mi contestò la validità di una denuncia di sinistro, da me controfirmata per ricevuta e accettazione, dicendomi che avevo avallato il falso e che pertanto ero complice di un tentativo di truffa che, se non fosse stato scoperto avrebbe procurato grave danno alla Compagnia. Il personaggio a me sconosciuto tirò fuori dalla sua cartella e mi diede, con fare trionfante, l'incarto relativo al sinistro. Si trattava di una denuncia di sinistro presentatami da una cliente ( tra l'altro una donnina per giunta claudicante) che aveva dichiarato che, in una manovra di parcheggio, aveva urtato con la parte anteriore della sua vettura, un'altra auto, assicurata con la Veneta Assicurazioni, in sosta, provocando danni di una certa rilevanza. Guardando meglio l'incarto esaminai anche la relazione del perito che aveva preso visione dei danni presentati dalle due auto: quella di controparte presentava un danno alla parte anteriore valutato in 50.000 lire, quella della mia assicurata evidenziava un danno alla parte posteriore ( non anteriore) il cui valore era inferiore. Sorridendo dissi: " beh, si sarà confusa, poveretta. E' una donnetta poco istruita, non avrà capito quale fosse la differenza tra anteriore e posteriore". " Confusa ?, quì si tratta di tentata truffa e lei, il suo collega della Veneta ( che per ottenere il risarcimento a favore del suo assicurato aveva affidato la pratica ad un legale), il suo avvocato e gli assicurati sarete tutti denunciati alla magistratura per tentata truffa !" mi disse urlando come un'ossesso. La vista mi si annebbiò, infuriato come un toro balzai in piedi, urlandogli sul viso " E voi siete convinti nella vostra insignificante pochezza mentale, che tre stimati professionisti e due poveri assicurati si siano messi in combutta tra loro per spartirsi l'immensa torta di ben 50.000 lire !, ma ha visto i miei rendiconti, lo sa quanto guadagno io, e quanto guadagnano il mio collega e il suo legale? Fuori da quì, subito, prima che vi faccio ruzzolare dalle scale!. " come si permette, sono il vicedirettore della compagnia e quest'ufficio è il nostro" replicò il tizio. " si, è vostro ma pago tanto di affitto e ne sono il legittimo possessore. Se non sparite dalla mia vista, chiamo i Carabinieri" risposi, alzando la cornetta del telefono. L'avvocato della Compagnia tentò di recuperare l'incarto del sinistro ma fui più svelto di lui, strappandoglielo dalle mani: "questo lo tengo io, dissi, mi serve come prova. Voi ne avete certamente un duplicato, ed ora FUORI !" Se ne andarono, ma la cosa non finì lì, sebbene il sinistro fosse stato pagato e il legale di controparte regolarmente compensato.

La gita al Ticino.

Prima che mio fratello si sposasse, un mattino insieme a me, mia moglie, mio figliio e le mie due cognatine sempre più floride e carine che erano tornate a trovarci, a bordo della mia auto, ci stavamo recando in riva al Ticino per una scampagnata. Era alla guida mio fratello. Ad un certo punto notammo un'auto che ci seguiva, facendo finta di tamponarci, di superarci, azionando i lampeggianti, ecc. Erano due imbecilli che, vedendo le ragazze sistemate nel sedile posteriore della mia auto, facevano i cretini per mettersi in mostra. Mio fratello all'improvviso bloccò la marcia mettendosi di traverso sulla strada e costringendo l'altra auto a fermarsi, scese dal posto di guida, si diresse verso i due e, spalancata la portiera dal lato guida, ne trasse fuori il conducente prendendolo per la collottola. Con la mano sinistra alzata e chiusa a pugno, gli chiese se fosse stanco di vivere. Quello sbiancò in volto, balbettando delle scuse disse che non ci avrebbero più recato alcun fastidio. Intanto anch'io ero sceso dall'auto e quelli videro un altro bestione che si avvicinava con fare minaccioso. Mio fratello non andò oltre, lasciò andare il malcapitato e i due, innestata la retromarcia, si dileguarono sparendo dalla circolazione. Le ragazze in macchina ridevano come matte, compresa mia moglie.

Tradimento fu...!!

Un tardo pomeriggio le due cognate ( la moglie di mio fratello e la mia) erano a spasso con i bambini. Passeggiando sul marciapiedi opposto allo stabile dove era ubicata l'agenzia, mia cognata guardò in alto in direzione della stessa ( l'ufficio era ubicato al secondo piano) e favorita dalla luce accesa all'interno, vide stagliarsi contro le finestre l'ombra inequivocabile di due persone, un uomo e una donna, che si tenevano stretti l'uno all'altra. Rivolta a mia moglie, disse con una punta di acidità, come se ne fosse contenta, " guarda che tuo marito ti tradisce con l'impiegata ". Mia moglie guardò le ombre che si muovevano dietro i vetri e, candidamente, le rispose subito: " non credo proprio che sia mio marito, credo piuttosto che sia il tuo". Mia cognata guardò meglio, affidò a mia moglie la carrozzina con il bimbo e si precipitò in ufficio, dove irruppe all'improvviso trovando mio fratello ( suo marito) e l'impiegata in pose a dir poco sospette. Scoppiò il pandemonio. La sera stessa mia cognata, con il bambino, lasciò la casa coniugale per tornarsene dai suoi parenti. Finì che i due si separarono e qualche anno dopo divorziarono. Quell'impiegata, che aveva preso una cotta spaventosa per mio fratello, da lui corrisposta, è ora mia cognata. I due sono felicemente sposati ed io ho un altro nipote, Davide, un ragazzo grande e grosso più di suo padre.

Il lavoro a Rho.

Mio fratello intanto, divenuto un gran bel ragazzo, ebbe l'occasione di conoscere, a Giarre, una bella ragazza: Giovanna, e i due si innamorarono. La ragazza, pur essendo nativa di Giarre, abitava a Imperia-Oneglia dove suo padre e i suoi fratelli avevano una impresa ittica. Tornava spesso al paese natale, e il legame che la univa a mio fratello si faceva sempre più stretto al punto che egli decise di seguirla a Imperia dove iniziò l'attività di Consulente automobilistico. Io non volli che mia Madre restasse sola e la convinsi a venire a Milano dove sarebbe stata ospitata da mia zia Pina che ne fu felice. Dopo qualche tempo ricevetti da mio fratello una telefonata: mi diceva che, stufo di non guadagnare niente, aveva deciso di abbandonare tutto, attività e fidanzata: volli che anche lui venisse a Milano. Lo ospitai a casa mia e gli cedetti un locale nel mio ufficio perchè vi potesse svolgere la sua attività. Le cose gli andarono subito bene ed anche a me perchè mentre lui faceva i passaggi di proprietà delle vetture, io le assicuravo. Conobbe una ragazza pugliese, con degli occhioni molto belli, se ne innamorò e poco tempo dopo la sposò. Presero in locazione un appartamento a Rho e, dieci mesi dopo ebbero un figlio, Cristiano. Nel frattempo la mia vecchia impiegata, Vittoria, si licenziò e assumemmo una bella ragazza che dava una mano sia nel settore assicurativo che in quello automobilistico.

La zia Pina.

Mia zia Pina, quella che quando ero ragazzo faceva parte della mia famiglia, più anziana di me di pochi anni, si era nel frattempo trasferita a Corsico, insieme al marito ( sarto molto esperto: mi confezionò lui l'abito per le nozze ed ancora altri due o tre vestiti) e ai miei due cuginetti, Nicola ed Enzo. Abitavano in un palazzo popolare, all'ottavo piano, e l'immobile era privo di ascensore. Mia zia fu assunta alla Standa, come commessa ed io riuscii a fare assumere mio zio presso la vetreria Lucchini e Perego come operaio non qualificato. I due compensi erano piuttosto miserelli, ma messi insieme bastavano a fare andare avanti la famiglia. Voglio ora però fare un lungo passo indietro, al tempo in cui avevo ancora poco più di cinque anni. Abitavamo a Palazzolo Acreide, in Sicilia, dove è nato mio fratello, e mio Padre in quel piccolo centro faceva il Carabiniere. Il paese era stato occupato dalle truppe americane che si erano acquartierate in una caserma nei pressi della Chiesa. Tra questa e la caserma c'era la casa dove abitava la mia famiglia, compresa la zia Pina, giovanissima sorella minore di mia Madre.
Un pomeriggio mio Padre ed io eravamo andati in campagna, appena fuori dal paese, per cercare delle verdure spontanee ( c'era tanta fame e i viveri scarseggiavano anche al mercato nero, per cui ognuno cercava di arrangiarsi come meglio poteva ) quando all'improvviso sentimmo la sirena che annunciava un'incursione aerea. Alzammo gli occhi al cielo e vedemmo alcuni aerei che sganciavano bombe sopra il paese. Ad un tratto mio Padre mi prese sulle braccia e mi lanciò dentro uno di quei canali per l'irrigazione del terreno, il quel momento asciutto. Anch'Egli si lanciò nel canale, ma sopra di me, per proteggermi con suo corpo. Intorno a noi caddero ed esplosero sette bombe. Rimanemmo fortunatamente illesi. Quando l'incursione aerea ebbe termine, mio Padre mi prese a cavalluccio sulle sue spalle e, imbevuto un fazzoletto in una pozzanghera, me lo sistemò attorno al naso e alla bocca, dicendomi che dovevo respirare attraverso di esso. Iniziò a correre verso casa. Malgrado avessi il fazzoletto impregnato di acqua attorno al naso, sentivo una gran puzza di cordite. Attorno a noi che correvamo si vedevano solo case crollate, incendi, persone morte o agonizzanti stese per terra. A distanza di tantissimi anni, tutta la scena mi scorre davanti agli occhi come in un film visto e rivisto chissà quante volte. Alla fine giungemmo a casa: era intatta, come la caserma, mentre la Chiesa era crollata e in fiamme. Ci precipitammo nell'ingresso dove trovammo mia Madre stretta a sua sorella: tra di loro, come per proteggerlo, mio fratello in fasce che dormiva. Le due donne tremavano come foglie al vento e non sapevano cosa fare, nell'attesa di noi. Subito tutti scendemmo negli scantinati della casa, posti a livello sotterraneo, nel timore di una seconda incursione, cosa che per fortuna non avvenne. I bombardieri avevano indirizzato le bombe verso la caserma, ma l'avevano mancata, colpendo invece la Chiesa posta a una ventina di metri, Chiesa che ora vedevamo in preda alle fiamme e completamente distrutta. Chissà, sarà stata la mano di Dio a guidare quelle bombe e a non farle cadere sulla nostra casa, salvando così delle innocenti creature. Poco tempo dopo mio Padre, dopo un breve periodo di istruzione, venne nominato ViceBrigadiere e trasferito a Noto e poi Comiso, in prov. di Ragusa, dove conobbi e strinsi amicizia con il caro Cabibbo.

Mio figlio.


Intanto, mentre il mio lavoro progrediva, il mio bambino cresceva. Cominciò a frequentare la scuola elementare di Rho. Ricordo il suo primo giorno: lo accompagnammo a scuola ma non voleva staccarsi da noi; poi la sua maestra, con molta dolcezza, lo convinse dicendogli che avrebbe giocato con gli altri bambini. Si lasciò portare in classe ma andando via ci guardava con espressione implorante. Quando lo andammo a riprendere alla fine delle lezioni, uscì incolonnato con i suoi compagni, si guardava in giro alla ricerca del suo papà e della sua mamma. Ci volò in braccio tutto eccitato, ci disse che la scuola gli piaceva, che aveva fatto amicizia con Elena ( degno figlio di tanto padre) e non vedeva l'ora di tornare a scuola "" solo per poco, però "". Frequentò la scuola elementare di Rho fino all'inizio della quarta classe. Poi successe qualcosa che cambiò il destino di noi tre, ma ne parlerò più avanti.

I davanzali femminili.

Quando le mie due cognate maggiori vennero per la prima volta a trovarci, restando con noi per qualche giorno, le presentai ai nostri amici: alla vista dei floridissimi " davanzali " delle due ragazze per poco Gilberto non svenne, prodigandosi in complimenti e apprezzamenti lusinghieri per le due e ciò in presenza della moglie che invece era piuttosto scarsa di quegli attributi. Disse che avrebbe chiesto il divorzio e che ne avrebbe sposata una, " sai che divertimento! ". Quando restammo soli, una delle mie cognate disse: " ma che vuole quello? Non ha mai visto una donna?". Stai zitta "donna", le risposi, sei ancora poco più di una bambina, cosa ne sai tu degli uomini! non hai visto che la moglie è quasi piatta davanti, e lui quando vede certe abbondanze, non resiste più: a voce però, perchè in realtà è molto corretto.

Le nuove amicizie.


L'appartamento che mia moglie ed io occupavamo a Trezzano sul Naviglio, quartiere Zingone, quello che aveva assistito alla battaglia della prima notte di nozze ( sfasciammo con gran clamore il letto) , era contiguo ad altro occupato da una coppia di coniugi simpaticissimi, i signori A., con la quale stringemmo subito rapporti di amicizia. Avevano due bimbi, Stefano il maggiore e Alessandro ancora in fasce. Mentre io ero al lavoro, mia moglie trascorreva con l'amica, Grazia, gran parte della giornata ( è probabile che da lei imparò molte cose relative alla preparazione del cibo, perchè la sua cucina migliorò a vista d'occhio), acquisendo anche una certa pratica nel delicato compito di accudire i bambini. Quando alla sera tentavamo di uscire per andare al cinema o a ballare, non appena chiusa la nostra porta di ingresso si apriva la loro, apparivano sulla soglia e con un'espressione severa ci dicevano: " dove credete di andare voi due, subito quì da noi !" - Veramente volevamo andare a vedere un film - rispondevo, e loro " ve lo recitiamo noi il film, anvanti, dentro, non andate a spendere soldi tanto i films sono tutti uguali". Ci si erano tanto affezionati da voler restare sempre in nostra compagnia. Quando lasciammo l'appartamento per trasferirci a Rho, quasi ci legavano per non farci andare via, i bambini che ci chiamavano zia e zio, si attaccarono alle nostre gambe e non volevano lasciarci. La nostra amicizia è rimasta fino ad oggi intatta, anche se per lungo tempo ci siamo persi di vista. Quante risate ci siamo fatte ricordando il clamore della nostra prima notte ( avevano la camera da letto attaccata alla nostra e avevano sentito tutto) : lui, Gilberto, diceva alla moglie "sentito come si fa? non come fai tu che sembri un pesce lesso ", e lei: " pesce lesso sarai tu, sempre e solo allo stesso modo", e giù a ridere come matti.

Il rovescio della medaglia.


Mi accorsi presto, con rammarico, che le cose andavano piuttosto male. Il mio predecessore aveva fatto una cattiva gestione dell'agenzia: moltissime polizze erano state disdette dagli assicurati, non tanto per i costi quanto per il trattamento personale ricevuto. Il precedente agente era intrattabile, prepotente e assolutamente scorretto. Aveva rovinato la piazza. Malgrado la nuova produzione, nel primo anno non ebbi alcun incremento di portafoglio, anzi non riuscii a coprire completamente le perdite. Nel frattempo avevo trasferito la mia famiglia in un appartamento sovrastante la sede agenziale, lasciando il Quartiere Zingone e le nuove amicizie (che meritano un capitolo a parte). Quì, il 20 novembre del 1965 nacque il mio unico figlio. L'anno successivo la cosa cambiò totalmente. Ero riuscito ad acquisire la fiducia della clientela e l'agenzia crebbe in maniera esponenziale, tanto che proposi alla Direzione l'acquisto di un appartamento in un nuovo stabile, in viale Filippo Meda al n. 11. La Direzione mi accontentò: alla fine si trattava di investire in immobili e questo era un obiettivo primario delle compagnie di assicurazioni. Trasferii la sede agenziale nei nuovi uffici, ma trasferii anche la residenza familiare, ricca di una nuova importante bocca da sfamare, in un appartamento al piano superiore ( volevo fare casa e bottega per qualsiasi necessità improvvisa).

L'agenzia di Rho


Rientrati dal viaggio di nozze, mi tuffai nel lavoro: avevo ora una persona in più cui provvedere e non volevo che soffrisse per insufficiente disponibilità finanziaria. Le cose però non andavano troppo bene, il guadagno era poco perchè oltre alle spese correnti quanto restava dovevo dividerlo con il mio socio. Seppi per puro caso che l'agenzia generale di Rho era libera, il vecchio agente era andavo via. Era dotata di un portafoglio di circa 200 milioni. Mi precipitai dal Direttore della Compagnia e gli chiesi di nominarmi agente per Rho. Mi disse che andava bene, che gli portassi 800.000 lire a titolo di cauzione e mi avrebbe dato l'Agenzia. Avevo però poco tempo, c'erano altre richieste ma mi dava la precedenza in quanto già suo agente: solo una settimana. Non avevo la somma richiesta e chiesi aiuto a mio suocero. Questi mi rispose che entro un paio di giorni avrebbe racimolato la somma ma che dovevo naturalmente venire a prenderla a San Giustino. Felici come una Pasqua, il giorno dopo partimmo per San Giustino dove ci fermammo tre giorni, al termine dei quali rientrammo a Milano. Senza neanche passare da casa, andai subito alla Direzione della Compagnia, in via Sandro Sandri 1. Depositai la cauzione e circa un'ora dopo uscivo con la lettera di nomina in tasca e con le quietanze da incassare.
Impiantai la nuova sede agenziale in un seminterrato in via San Carlo 36 e cominciai subito a darmi da fare.

L'amico Battistoni.

Nell'estate di qualche anno prima del definitivo trasferimento a San Giustino, seguendo il suggerimento di un cugino di mia moglie, attraversavo gli Appennini per recarmi al mare, a Fano. Giunto a Verghereto, proprio sulla piazza principale del piccolo paese arroccato in cima ai monti, fui fermato da una pattuglia di Carabinieri: " libretto e patente " mi venne ingiunto. Esibii i documenti richiesti e il capopattuglia, un Appuntato, dopo averli esaminati mi chiese se l'auto fosse di mia proprietà ( una Citroen ID color verde bottiglia, targata MI, acquistata d'occasione). Alla mia risposta affermativa rispose che non era vero, in quanto il mio nome non appariva sulla carta di circolazione ( si trattava di un vecchio modello tipo libro, con più fogli e con la copertina verde). Mi innervosii e, con una certa arroganza, gli risposi: " Se lei ha la forza di sfogliare il libretto di circolazione, magari servendosi di un ditino inumidito, troverà, al punto giusto, riportato il mio nome. Se non sà leggere i libretti di circolazione, magari le dò una mano !". " Cosa fà, lo spiritoso ?" mi rispose l'Appuntato, visibilmente adirato. Stavo per ribattere quando mi accorsi di un Maresciallo dei Carabinieri che, nelle immediate vicinanze, aveva sentito tutto. Si avvicinò di più e curvandosi verso il finestrino per guardarmi meglio, rivolto al suo dipendente, disse: " Questo signore ha tutte le ragioni per essere spiritoso, è un mio collega !" Lo guardai stupito, lo riconobbi: " Battistoni ! " esclamai. Scesi dall'auto, ci abbracciammo felici di esserci ritrovati. A Firenze occupavamo la stessa camerata. I due Carabinieri di pattuglia intanto, dopo aver consegnato i miei documenti al loro Maresciallo ( il quale si affrettò a restituirmeli), si allontanarono discretamente, dopo aver salutato militarmente. Restammo insieme per circa due ore. Ci raccontò che abitava a San Giustino, che aveva sposato una ragazza di Lama ( una frazione di San Giustino), Susanna, che faceva la parrucchiera e che mia moglie conosceva personalmente. Ricordammo il periodo della scuola, i vari episodi e, alla fine ci lasciammo ripromettendoci di rivederci presto a San Giustino. Lo rividi infatti, parecchi anni dopo, lui era andato in pensione, io ero da tempo nella vita civile. Il figlio aveva acquistato un appartamento in un complesso confinante con quello dove io già abitavo, e lui lo aiutava a sistemare il giardino posto davanti all'ingresso dell'abitazione. Caro Battistoni!: morì poco tempo dopo essere andato in pensione. Lo seppi parecchio tempo dopo i funerali e la cosa mi rattristò moltissimo. Un altro caro amico se n'era andato via per sempre!.

Il matrimonio.


Vi parteciparono, com'era logico che fosse, mia Madre e mio fratello, oltre al mio socio che mi fece da testimone. C'era poi la famiglia della mia ragazza, altri suoi parenti, qualche sua amica e il suo testimone con la famiglia: poche persone, le più care. Dopo la cerimonia nuziale il corteo, con gli sposi in testa, si avviò a piedi verso la vicina casa della sposa. Durante il tragitto mi voltai a guardare una ragazza: sentii immediatamente uno strattone al braccio e intesi la sposina sussurrarmi " guarda che ora sei solo mio, non devi più guardare altre ragazze". Per tutta risposta le diedi un bacio tra gli applausi degli astanti. Subito dopo il pranzo nuziale nel ristorante Orfeo di Sansepolcro, la mia sposina ed io partimmo a bordo della mia nuova auto, stracolma dei regali appena ricevuti, una fiammante Ford Cortina bianca che avevo recentemente acquistato in sostituzione della vecchia, cara Douphine, con direzione Milano, verso casa nostra. Non ci fermammo in un albergo per la notte di nozze, decidemmo che "tutto" iniziasse a casa nostra. Il mattino successivo partimmo per il viaggio di nozze che trascorremmo in Svizzera, a Melide, sul lago di Lugano. Prendemmo alloggio in un motel provvisto di tutti i conforts occupando un piccolo appartamento munito anche di spiaggetta privata. Il motel era molto lussuoso e confortevole, c'era la piscina, la sala da ballo, il ristorante, il negozio di alimentari, la parrucchiera, ecc. Ci trovammo veramente bene. La sera andavamo in giro con la nostra auto. A Lugano visitammo il Kursell dove c'era la sala della "boulle", una sorta di roulette; vedemmo un nugolo di persone affaccendate a perdere danaro.
Ammirammo i giochi di luci sul lago, ne percorremmo una parte in vaporetto. Una sera, sempre in vaporetto, andammo a Campione d'Italia, eravamo curiosi di visitare le sale da gioco, ma non vi fummo ammessi perchè io non portavo giacca e cravatta. Allora ci accomodammo ad un tavolo del sottostante nigth, dove ballammo, assistemmo allo spettacolo (peraltro affatto scandaloso) e consumammo diverse bibite.
Alla fine riprendemmo il nostro vaporetto e tornammo a Lugano dove avevo lasciato l'auto.
Restammo in Svizzera per dieci giorni e ci comportammo come tutti gli sposini in viaggio di nozze con quell'allegria e quella spensieratezza tipica della nostra gioventù.

L'addio all'Arma.


Il 4 giugno del 1964, data di scadenza dell'ultimo periodo di convalescenza, alla fine arrivò. Fui sottoposto alla visita finale e posto in congedo per riforma, con assegno pensionistico ascrivibile alla 5a categoria, per quattro anni. Il successivo 20 giugno sposai la sig.na E.M. con la quale ero fidanzato da 6 anni. Avevo nel frattempo preso in affitto un appartamento a Trezzano sul Naviglio, Quartiere Zingone, piazza San Lorenzo 41, che avevo completamente arredato e lasciato in attesa della padrona di casa. Avevo 27 anni e la mia consorte 21.

domenica 29 giugno 2008

La prima agenzia.


Il tenente Silvestri una sera mi invitò al bar per prendere un caffè. Mi confessò che era costretto, per motivi di salute, a lasciare l'Arma e che aveva preso contatto con una importante compagnia di assicurazioni dalla quale avrebbe ottenuto un mandato di agente generale. Mi propose di andare a lavorare con lui e mi chiese se avevo la possibilità di portare con me un altro elemento in gamba. L'idea mi piacque, proposi la cosa ad un mio amico, che accettò. Un paio di mesi dopo veniva aperta l'Agenzia Generale della Zurigo assicurazioni a Buccinasco, un piccolo centro alle porte di Milano. Naturalmente io persi il mio posto in caserma, ma mi sistemai nel retrobottega dell'agenzia, che tra l'altro aveva un'altro ingresso. Approntai un divano-letto, un tavolo e delle sedie, in modo tale che di giorno sembrasse un'appendice dell'ufficio, mentre la notte si trasformava in camera da letto. Avevo il locale bagno e tutte le comodità, riscaldamento compreso. Lasciavo come canone una piccola percentuale degli utili che mi spettavano. I pasti venivano consumati nella vicina trattoria. Dopo quattro o cinque mesi constatammo che le cose non andavano poi così bene. Avveniva che io e il mio collega facevamo un sacco di produzione, mentre il signor Silvestri raccoglieva i maggiori frutti. Ne parlammo con il Silvestri e gli manifestammo subito la nostra volontà di cambiare aria. Ci disse di pazientare ancora un pò: anche a lui la cosa non andava giù e ci annunciò che voleva abbandonare tutto, aggiungendo che, se lo avessimo voluto, avrebbe fatto in modo di ottenerci la nomina ad agenti generali, cedendoci l'ufficio, gli arredamenti e tutto il portafoglio fin lì accumulato senza pretendere dalla Compagnia alcuna liquidazione. Fu di parola: 15 giorni dopo il mio amico ed io fummo nominati coagenti generali per la zona di Buccinasco-Corsico della Zurigo Assicurazioni.

Primi passi nelle assicurazioni.

Nell'agenzia lavoravano anche alcune ragazze. Una di esse se la intendeva con il reggente, con un'altra legai in maniera particolare. Era un pò scarsina nella produzione assicurativa e stentava a raggiungere il badget mensile assegnato, badget che io raggiungevo facilmente in pochi giorni; le passavo qualche contratto per non farle perdere il lavoro. Il nostro rapporto si fece più stretto al punto da sfociare presto nella logica conseguenza. Un pomeriggio il reggente mi propose di accompagnarlo in auto fino a Ferrara dove doveva recuperare una sua vettura che lì si era guastata. Disse che la sua amica sarebbe venuta con noi e che potevo portare anche la mia amica, se voleva. Naturalmente quest'ultima accettò con entusiasmo. Partimmo quella sera stessa e viaggiammo tutta la notte. Ogni tanto ci si fermava in posti solitari: una coppia scendeva e faceva una passeggiata, mentre l'altra restava in auto a fare gli affari propri, poi i ruoli venivano invertiti. Al mattino giungemmo, non a Ferrara ma a Venezia. Prendemmo alloggio in un piccolo albergo di Malomocco, in due camere comunicanti. Ne combinammo di tutti i colori, in camera, sul moscone. Rimanemmo due giorni a Venezia e furono due giorni di puro e sfrenato divertimento. Rientrati a Milano sentivo un particolare disturbo. Consultai il Medico militare all'infermeria legionale che mi disse: " brutto porcello, quanti rapporti hai avuto? Hai preso un riscaldamento da sforzo, metti questa pomata e almeno per 15 giorni, nisba!"

La nuova convalescenza.

Il primo anno di convalescenza lo trascorsi facendo la spola tra l'Umbria e la Sicilia. Durante il secondo anno rientrai a Milano e chiesi ospitalità nella mia vecchia caserma di Porta Genova. Il nuovo Tenente comandante della Tenenza Ticinese ( Ferretti era stato trasferito in Alto Adige ), fu molto cortese, mi concesse di occupare la mia vecchia camera finchè fosse rimasta libera, a condizione che dessi una mano in ufficio. Accettai con entusiasmo. I miei interrogatori a verbale non portavano più nè il mio nome nè la mia sigla, ma quelli di un mio collega che me ne fu molto riconocente. Il Tenente Silvestri era l'opposto del suo predecessore, si informava spesso sulla mia salute e sul mio inserimento nella vita civile. In quel periodo feci il rappresentante di macchine per scrivere, ma andò male; il rappresentante di vini e liquori: peggio che mai. Fortunatamente mia Madre mi mandava il mio stipendio intero che mi perveniva in Sicilia. Acquistai la mia prima auto, una Douphine tre marce che viaggiava come un treno. Alla fine trovai la mia strada nelle Assicurazioni. Entrai a far parte di una agenzia di città dell'Istituto Nazionale delle Assicurazioni (INA), retta da un certo Milani. Mi trovai subito a mio agio, vendevo polizze di assicurazioni sulla vita a basso costo ( le cosidette popolari) e guadagnavo molto bene, tanto da arrivare ben presto ad occupare il posto di vicereggente di agenzia.

La fine del sogno.

Le ultime, vane, speranze.

Nel settembre del 1962, durante la mia permanenza all'infermeria legionale, presentai domanda di riconoscimento della mia infermità come dipendente da causa di servizio, allegando tutte le possibili informazioni, a partire dalle lombaggini che mi erano state riscontrate nell'ultimo periodo della frequenza al corso per Allievi Sottufficiali a Firenze. Dopo aver espletato le relative indagini, nel dicembre dello stesso anno fui convocato dalla C.M.O. di Milano. Dopo una settimana di accertamenti ed esami, il Capo della commissione mi convocò nel suo studio, mi invitò a sottoscrivere il relativo verbale che mi riconosceva l'infermità come dipendente da causa di servizio e mi comunicò che venivo inviato in licenza di convalescenza per un anno, al termine del quale mi sarebbe stato assegnato un ulteriore anno e poi ancora sei mesi. Alla fine sarei stato riformato e posto in congedo ( gli otto mesi di convalescenza già trascorsi non rientravano più nel conteggio essendo cambiato il mio stato da rafferma triennale a servizio permanente effettivo). Mi esortò a trovarmi una sistemazione nella vita civile. Era il crollo di tutti i miei sogni, la fine della mia carriera militare.

In convalescenza.




Durante la permanenza presso i mie cari, mi affidai ad uno dei migliori cardiologhi della Sicilia. Mi prescrisse una cura che avrei dovuto fare per parecchi anni ( fu un toccasana, dopo qualche anno la mia malattia si stabilizzò). Le cure e l'assoluto riposo furono profiqui. Al termine dei tre mesi, mi presentai alla C.M.O. di Perugia che mi assegnò altri tre mesi di convalescenza e, al termine degli stessi me ne diede ancora due, alla fine dei quali pregai il Colonnello Medico di dichiararmi idoneo. Con una qualche riluttanza volle accontentarmi e così rientrai alla Legione di Milano. Avendo trascorso otto mesi di convalescenza ero stato trasferito alla forza assente, con conseguente perdita del mio posto alla Compagnia Suburbana, alla Stazione di Porta Genova, per non parlare della possibilità di accedere all'Accademia. In considerazione dei miei acciacchi, fui assegnato, come caposcrivano, all'infermeria legionale, alle dirette dipendenze dell'Ufficiale Medico. Fu un periodo di vera pacchia, regolavo l'accesso dei militari che marcavano visita, distribuivo pasticche a destra e a manca, tutti scherzosamente mi chiamavano dottore. Il Generale Comandante la Divisione Pastrengo mi telefonava quasi tutti i giorni chiedendomi se c'era disponibilità di olio di vaselina ( poveretto, era stitico) e, quando rispondevo di si, mandava un motociclista a prelevarlo.

In ospedale.

L'Ufficiale medico di guardia mi fece ingoiare due pasticche e due soldati mi condussero in una grande camerata piena di militari urlanti per essere stati disturbati nel sonno. Mi scaricarono sopra un letto e se ne andarono. Il giorno successivo nessuno del corpo medico venne a vedere cosa avessi. A mezzogiorno mi servirono il pasto, ma non toccai cibo: volevo solo bere, nient'altro che bere. Non riuscivo a riposare e l'unica posizione che mi dava un certo refrigerio era quella di stare seduto sul letto, senza neanche appoggiare le spalle. Passai un'altra notte da incubo. Il mattino dopo, sentendomi abbandonato da Cristo e dagli uomini, seduto sul letto e con le braccia appoggiate alle ginocchia, mi misi a piangere come un vitellino. Alcuni ricoverati mi si avvicinarono e uno di essi andò a chiamare la Suora. Questa si piazzò ai piedi del mio letto e con fare molto adirato chiese il motivo del mio pianto. Le risposi indicandole tutti i miei punti dolenti e lei mi chiese da quanto tempo ero ricoverato. Le dissi " da due giorni" . Mi chiese che medicine mi avevano somministrato. Le risposi "niente, solo due pasticche al momento del ricovero ". " Ecco perchè piange, per il dispetto di non aver ricevuto cure, caro il mio signorino!" mi disse con la sua voce da cornacchia spennacchiata. Con tutto il fiato che mi era rimasto le lanciai sul viso una sonora bestemmia e le urlai " sto morendo, voglio i medici attorno a me, non le puttane!" Infuriata come una belva, si tirò su le sottane e sparì. Pochi minuti dopo accanto al mio letto apparve il primario del reparto medicina, un maggiore medico ( per mia fortuna cardiologo). Mi fece sdraiare e mi appoggiò sul cuore il suo attrezzo di legno per auscultarlo. Lo vidi impallidire, arrossire e poi impallidire ancora. Immediatamente diede ordine di liberare una piccola camera a due letti., mi ci fece trasportare ordinandomi di stare fermo, mi fece mettere a letto. Fece smontare dal piano superiore l'attrezzatura per eseguire gli elettrocardiogrammi, eseguì l'esame, mi praticò alcune punture e mi fece ingoiare alcune pasticche. Fece costruire sopra il mio letto una tenda ad ossigeno (sotto la quale rimasi per due giorni e due notti) e ordinò che un militare mi vegliasse giorno e notte. Ad ogni mio più piccolo lamento doveva essere avvertito immediatamente. Tutti i giorni mi visitava tre o quattro volte, mi faveva ingoiare 16 pasticche al giorno e praticare 8 punture. Ordinò per me vitto speciale.
Per farla breve, mi salvò nel vero senso della parola. Presto cominciai a migliorare sensibilmente, i dolori erano quasi del tutto spariti, e mi permise di ricevere delle visite. Tutti vennero a trovarmi, il Maresciallo Severini, il Brigadiere Cati, tutti i Carabinieri della stazione ( Pagano era con me quasi in pianta stabile), il Capitano Banchetti, i colleghi della Compagnia, persino il Tenente Ferretti che, augurandomi una pronta guarigione mi disse " faccia presto perchè ho bisogno del mio miglior sottufficiale". Le sue parole me lo resero quasi simpatico, ma mi venne istintivo pensare ( brutto stron..., se non era per te forse non sarei su questo letto). Vennero a trovarmi anche alcune delle mie amiche, una provò addirittura a consolarmi sessualmente, ma fu interrotta dall'arrivo del piantone. La mia degenza nell'ospedale militare di Baggio si protrasse per 50 giorni. Poco prima delle festività Natalizie sottoscrissi la richiesta di dimissioni. Mi furono assegnati tre mesi di convalescenza che trascorsi parte con la fidanzata e parte con mia Madre.
Mentre varcavo la porta dell'ospedale, la Madre Superiore ( quella stessa che si era beccata il mio insulto) mi chiese se non volevo lasciare un'offerta per la Madonna che mi aveva fatto la grazia di guarire. Le risposi che si, avevo destinato 5000 lire per l'offerta, ma che avrei consegnato la somma al primo mendicante che avessi incontrato, cosa che feci puntualmente. La Madonna non aveva bisogno dei miei soldi, il mendicante certamente si.

Il sogno infranto.

Studiavo come un pazzo. La sera non uscivo più se non per recarmi a lezione. Scrivevo lunghe lettere alla mia ragazza e stavo alzato fino a tardi. La notte non dormivo a sufficienza e quel poco di sonno che riuscivo a fare era popolato di incubi: vedevo libri dappertutto, mi vedevo in divisa di cadetto ma pensavo che fossi l'ultimo del corso, vedevo il Capitano e un altro personaggio che non riuscivo a distinguere, in divisa da Generale, che mi puntavano l'indice davanti al viso come se volessero accusarmi di aver tradito le loro attese. Durante il giorno lavoravo come un ossesso. Non volevo che restasse inevasa nessuna pratica e me la prendevo con i due Carabinieri che mi aiutavano nel lavoro. Ero diventato intollerante e irascibile. Un paio di mesi dopo, nel pieno della notte, mi sentii molto male. Un dolore atroce di torturava il petto e le spalle. Chiesi aiuto al collega che divideva con me la camera e questi, resosi conto della gravità del mio stato, nelle condizioni in cui mi trovavo, mi buttò una coperta sulle spalle, mi caricò quasi sulle sue braccia e, fattomi salire sulla camionetta di servizio, mi portò all'Ospedale Militare di Baggio, dove venni immediatamente ricoverato.

Sala d'attesa.

Un mattino, alle ore 8,30 in punto, mi trovai davanti, nel mio ufficio, il Tenente Ferretti il quale mi disse di essere stato convocato dal sig. Capitano. Lo pregai di attendere e lo annunciai al Capitano dalla porta del suo ufficio. Questi mi fece cenno di entrare e di chiudere la porta. Molto sommessamente mi disse di fare accomodare l'ufficiale in sala di attesa, mentre lui sistemava qualcosa: lo avrebbe chiamato lui non appena si fosse liberato. Riferii gli ordini al Tenente e lo invitai ad accomodarsi nella saletta di attesa, fuori dal mio ufficio. Dopo circa due ore, il tenente, piuttosto arrabbiato, mi chiese quanto tempo avrebbe dovuto ancora attendere. Mi recai dal Capitano e lo informai della richiesta. Mi rispose di riferirgli che si scusava per il contrattempo ma che era ancora molto occupato, pregandolo di pazientare. Prima che uscissi dal suo ufficio mi disse che certamente l'ufficiale mi avrebbe chiesto se ero a conoscenza di qualcosa e di riferirgli allora che forse voleva comunicargli che ero stato ammesso all'Accademia Militare di Modena. Infatti nel dire al Tenente che doveva ancora attendere, questi mi chiese " ma lei sa qualcosa di quanto deve dirmi il sig. Capitano? Cosa c'è che non va ? " . Niente gli risposi, ma forse ho una mezza idea. " mi dica", ed io " Forse il sig. Capitano vorrà comunicarle che sono stato ammesso a frequentare il primo anno dell'Accademia Militare di Modena, in uno dei posti riservati al sottufficiali dei Carabinieri in servizio" Sbiancò in viso come se gli avessi dato una ferale notizia e, come un automa si complimentò con me. Quasi barcollando tornò a sedersi.
Alle 12,30, abbandonando l'ufficio per andare a pranzo, lo vidi seduto quasi nella stessa posizione, lo salutai e mi allontanai. Non ho mai saputo cosa avesse da dirgli il Capitano.

Il Professore.


Qualche sera dopo il Capitano mi chiamò nel suo ufficio ( vi si accedeva dal mio e degli altri miei collaboratori) . Lo trovai in compagnia di un signore anziano, molto distinto, che al vedermi disse " è questo il giovane brigadiere? " il Capinato annuì e mi presentò il Professor ( non ricordo più il nome ), docente universitario in pensione, che si sarebbe preso cura del mio "ripasso". Gliene chiesi il motivo e lui mi rispose che, quando a suo insindacabile giudizio mi avesse ritenuto pronto, avrebbe inoltrato la domanda di ammissione all'Accademia di Modena per la mia partecipazione al corso ufficiali, occupando uno dei posti riservati ai sottufficiali dei Carabinieri in servizio. Aggiunse che non voleva che facessi fare, a lui e alla persona più in alto loco, una magra figura, essendo i miei protettori. Mi attendeva, dopo poco più di quattro anni, in uniforme da Sottotenente dei Carabinieri. Restai allibito, non sapevo più cosa balbettare, dissi solo " ma signor Capitano, non posso permettermi di dare un compenso al professore" Mi rispose che non c'era nulla da pagare, nemmeno per i libri di testo: il professore, suo grande amico, si prestava volentieri a prendersi cura di me e mi attendeva tre volte alla settimana, dalle 20 alle 21 per ripassare insieme e per assegnarmi delle esercitazioni che avrei svolto nei giorni in cui non ci si vedeva. Il Capitano aggiunse che il ripasso sarebbe iniziato la sera dopo, l'inizio del corso si avvicinava e non c'era tempo da perdere. Infine mi disse che, inderogabilmente alle 19,00 , tutte le sere avrei dovuto lasciare il mio ufficio: se mi avesse trovato dopo quell'ora ancora al lavoro mi avrebbe punito: e questo era un ordine. Con la testa che mi girava, emozionatissimo, farfugliando ringraziamenti, salutai i miei benefattori e mi ritirai. Giunto nella mia camera, seduto sul letto, piansi di felicità: mi si spalancavano le porte del Paradiso, il mio sogno stava per realizzarsi. Quella sera neanche cenai e la notte dormii poco e male: ero agitato e pieno di dubbi. Quella fu l'unica volta che non scrissi alla mia fidanzata.

Alla Compagnia Suburbana.


Rientrato dalla licenza premio, mi presentai al Capitano Banchetti che mi accolse molto cordialmente. Lo ringraziai per il suo intervento in mio favore e per avermi sottratto dagli artigli del Tenente Ferretti. Sorrise bonariamente e mi spiegò cosa si spettava da me. Mi misi subito all'opera. Facevano parte della Compagnia Suburbana quattro Tenenze, ma il Capitano mi disse di concentrare la mia attenzione principalmente sulla Tenenza Ticinese. Cominciai ad esaminare le pratiche assegnate a quel comando e rilevai parecchie irregolarità. Decine di richieste inoltrate da mesi risultavano ancora inevase. Sin dal primo giorno cominciai ad approntare parecchi solleciti e parecchie richieste di chiarimenti. La sera portai la posta alla firma del capitano che, dopo una rapida scorsa, firmava i documenti senza fare alcuna osservazione, con un sorrisetto stampato sul viso che la diceva lunga ( anche a lui il Tenente Ferretti era antipatico, come del resto a moltissime altre persone). Apposta l'ultima firma, si complimentò con me dicendomi che era proprio quello che si aspettava ma mi esortò ad avere la stessa cura anche per le altre Tenenze, ma che c'era tempo per farlo. Mi chiese poi cosa avrei fatto durante la serata, aggiungendo che avevo il permesso permanente di uscire indossando gli abiti civili, se lo credevo opportuno. Anche in ufficio potevo indossare l'abito civile, se ciò mi faceva sentire più a mio agio. Gli risposi, ringraziandolo, che la divisa da Carabiniere era sempre stata il mio sogno e che molto raramente me se sarei separato, aggiungendo che avrei scritto una lunga lettera alla mia fidanzata e che dopo sarei andato a dormire, più che soddisfatto della mia nuova condizione. Disse che per quella e per qualche altra sera poteva andare bene così, ma che successivamente mi avrebbe assegnato un nuovo incarico da svolgere dopo il servizio, per il cui svolgimento non era necessaria l'uniforme. Non volle aggiungere altro. Rispondendogli "sempre ai suoi ordini" e chiedendomi quale poteva essere questo nuovo incarico, gli chiesi il permesso di ritirarmi.
Al mattino successivo, di buon'ora, preparai per il Carabiniere motociclista il voluminoso piego da recapitare alla Tenenza Ticinese: non c'era posta per le altre Tenenze e il militare se ne meravigliò. Gli diedi un'occhiataccia e quello si dileguò.

La licenza premio.


Rientrato a Porta Genova trovai che il Maresciallo Severini era partito in licenza ordinaria. Il comando interinale era stato assunto dal Brigadiere Arrigo Cati, una pasta d'uomo che sapeva solo compilare i moduli per la richiesta di informazioni e nient'altro. Qualsiasi cosa d'altro dovesse fare, chiedeva il mio aiuto, persino nel disporre il servizio dei militari. Per l'ordine pubblico allo stadio di San Siro si segnava sempre lui ed al solito supervisore, il Tenente Ferretti, che gli chiedeva come mai io non ero mai di servizio rispondeva che ero assegnato a compiti ben più importanti, quale la Polizia Giudiziaria per la quale ero veramente adatto. Il tenente sbuffava come un toro inferocito e se ne andava. Il buon Cati mi avvertiva sempre " stai attento a Ferretti, ti vuol fregare a tutti i costi". Infatti si verificò un nuovo tentativo: dovevo usufruire della licenza premio per la cattura di quel lestofante che mi aveva sparato un colpo di pistola, ma Cati non si decideva mai a lasciarmi andare, pur essendo stata la licenza già concessa. Sentii puzza di bruciato e chiamai al telefono un collega in servizio presso il Comando di Compagnia chiedendogli se sapesse qualcosa della mia licenza. Il collega mi rispose che la mia licenza era stata sospesa a seguito della proposta di punizione fatta dal Brigadiere Cati per essermi messo io a rapporto con il Capitano Banchetti senza aver seguito la via gerarchica ( la mia richiesta di aiuto per lasciare l'ufficio I della Tenenza). Su tutte le furie chiesi spiegazioni al Brigadiere Cati e lui mi rispose che aveva ricevuto l'ordine tassativo di avanzare la proposta di punizione dal Tenente Ferretti. Era molto rattristato nel dirmelo, conscio che non meritavo un tale trattamento. Stavolta non andai dal Capitano, gli telefonai e lo misi al corrente di tutto. Non era trascorsa mezz'ora che giunse un fonogramma diretto anche al Comando della Tenenza Ticinese, del seguente tenore: " disporre immediatamente per l'invio in licenza premio del V.Brig. Z.G. Al suo rientro lo stesso sottufficiale è destinato in servizio provvisorio al Comando della Compagnia Suburbana per assumere l'incarico di caposcrivano". Il fonogramma veniva dal Comando della Legione e recava la firma del Colonnello Comandante.

La patente di guida.


Dopo aver acquisito una buona pratica di guida ( recuperando auto rubate) mi presentai, da privatista, per il conseguimento della patente di guida. Venni a conoscenza del fatto che l'ingegnere che mi avrebbe esaminato ( a quel tempo l'esame era tutto orale ) aveva pochi giorni prima giudicato non idoneo un mio collega in quanto questi aveva dato una risposta errata su una domanda sul Codice della Strada, dicendogli che, pazienza per il motore, ma il codice della strada era il suo pane quotidiano per cui, quella risposta errata lo condannava. Io conoscevo il codice della strada come meglio non si poteva, per cui mi presentai in divisa. Mi fece una cinquantina di domande, ottenendone sempre la risposta corretta e alla fine mi disse: Vedo che conosce il codice della strada meglio di me, passiamo ora al motore. Gli risposi che a qualsiasi domanda mi avesse rivolto, anche la più facile, avrei purtroppo dato la risposta errata, in quanto sapevo dell'esistenza di un motore nelle auto ma che non ne conoscevo i componenti nè le funzioni.
" E se l'auto si ferma all'improvviso, cosa fa?" mi disse , ed io " chiamo il carro attrezzi, faccio il brigadiere dei Carabinieri, non il meccanico". " le rivolgo una sola domanda molto facile: a che voltaggio arriva la corrente alle candele?" ed io, " ingegnere, non ne ho la più pallida idea" gli risposi, e lui " glielo dico io, a 12.000 volts: attenda per la guida".
Naturalmente conseguii la patente di guida al primo tentativo e senza costi.

sabato 28 giugno 2008

Il comando interinale.


L'unico mio comando.

Giunto al Comando di Stazione di Milano Affori, mi presentai al Comandante titolare, il Maresciallo Maggiore Grasso Salvatore, pronunciando il mio grado e il mio nome. Mi guardò con aria interrogativa e, ripetendo il mio nome, mi chiese se avessi parenti nell'Arma. Risposi che si, lo avevo avuto, mio Padre, deceduto qualche anno prima. Disse il nome di battesimo di mio Padre: annuii, stupefatto. Mi abbracciò come fossi suo figlio e piangendo mi disse che insieme al mio povero Padre aveva fatto l'allievo carabiniere, la guerra in Albania, il corso sottufficiali e che si erano persi di vista solo da una diecina di anni. Non sapeva della sua dipartita e volle che gli raccontassi tutto. Mi mostrò alcune foto che ritraevano me bambino seduto sulle sue ginocchia.
Mi fece le consegne dicendomi che avrebbe trascorso la sua licenza in sede: se avessi avuto bisogno di lui avrei dovuto chiamarlo anche nel cuore della notte. Ebbi bisogno di lui, ne ebbi un bisogno tale che se non ci fosse stato chissà come mi sarebbe finita.
Pochi giorni dopo aver preso il comando interinale della Stazione, un pomeriggio ero in giro per il territorio. Sul brogliaccio mi ero segnato in servizio di informazioni. Rientrato in caserma il piantone mi riferì che fino a pochi minuti prima la stazione aveva ricevuto la visita del Comandante del Gruppo Interno, il Maggiore Carlo Alberto Dalla Chiesa. Lo stesso aveva visitato la caserma ed era andato su tutte le furie dopo aver preso visione dello stato di abbandono in cui si trovavano gli infissi, i muri, in poche parole, tutta la caserma. Aveva controllato il brogliaccio e vi aveva lasciato un ordine per me. Mi si ordinava di presentarmi a rapporto presso il Comando di Gruppo per essere ammesso alla sua presenza alle ore 8,30 in punto del giorno dopo. Paventando tempesta, mi rivolsi al Maresciallo Grasso e lui mi rassicurò dicendomi che mi avrebbe accompagnato dal sig. Maggiore. Infatti la mattina successiva, alle ore 8,30 in punto, fummo ammessi alla presenza del Maggiore Dalla Chiesa. Prima che lo stesso cominciasse parlare, il maresciallo Grasso diede inizio alla sua difesa: gli disse che non era giusto che se la prendesse con un ragazzo da pochi giorni al comando interinale, che se c'era qualcosa che non andava doveva prendersela con lui. Prima però doveva rileggersi tutti i rapporti e tutte le richieste di intervento che il maresciallo stesso gli aveva rimesso, per via gerarchica. Il Maggiore lo lasciò parlare senza interruzioni, annuendo ogni tanto. Alla fine ci disse che andava bene e che potevamo andare. La cosa finì lì, non ci fu nessuna conseguenza, nessuna punizione; anzi, qualche tempo dopo seppi che erano stati stanziati dei fondi per la sistemazione della caserma della stazione di Milano Affori. Probabimente servii a qualcosa.
Durante il periodo del mio comando interinale, recuperai un buon numero di autovetture per le quali era stata fatta denuncia di furto. Le ricoveravo nel cortile interno della caserma mettendomi al posto di guida, sordo alle proteste del Carabiniere munito di patente seduto al mio fianco cui ordinavo di dirmi cosa dovevo fare.

La valutazione.


Gli episodi che precedono fecero salire la stima dei miei superiori al punto di essere stato il più giovane sottufficiale di tutta la Legione di Milano ad aver ottenuto la valutazione di " Ottimo Sottufficiale" dopo appena un anno di grado, valutazione cui aspiravano anziani sottufficiali dopo una lunga carriera. La cosa mi meravigliò molto: non mi sentivo nè un eroe nè un Serpico, avendo solo fatto il mio dovere, nel rispetto dell'uniforme che indossavo.

Il pluriricercato.


Un mattino giunse da un confidente una telefonata. Ci avvertiva che un pregiudicato , ricercato da tutti gli organi di Polizia, si aggirava dalle parti del viale Egisto Bezzi, alla guida di una moto Parilla di colore rosso e indossando un cappotto color marrone. Informai il Maresciallo e lui mi ordinò di seguirlo. Inforcammo la moto di servizio ( il Maresciallo era alla guida) e ci dirigemmo sul posto indicato. Ad un tratto lo vidi e lo indicai al mio superiore; anch'egli ci vide e con un'improvvisa manovra a gomito imboccò una stradina sulla destra, e noi dietro. La stradina non aveva sbocchi e terminava davanti a un canceletto di accesso al giardino di uno stabile. Il tizio abbandonò la moto, correndo si tolse il cappotto abbandonandolo per terra e infilò il cancelletto. Io balzai giù dalla moto e lo imitai: abbandonai anch'io il cappotto e tirata fuori la pistola di ordinanza inserii un colpo in canna, intimandogli l'alt e minacciandolo con l'arma. Il delinquente, attraversando un altro cancelletto che dal giardino immetteva sul viale Bezzi, si girò e mi indirizzò un colpo di pistola ( per fortuna non mi colpì) ma, nel farlo, incespicò e cadde per terra. La pistola gli sfuggì dalle mani. In un baleno gli fui addosso, avevo la mano destra, armata, che mi bruciava maledettamente per la voglia di rispondere al fuoco. Non lo feci, ma puntandogli l'arma a pochi centimetri dalla testa, recuperata la sua pistola, gli dissi: prova a muovere un capello e ti riduco la testa come uno scolapasta. Nel frattempo cominciò a formarsi un capannello di persone. Temendo l'intervento di un qualche complice, mi allontanai dal tizio, sempre per terra, e minacciandolo con la pistola, mi addossai al vicino muro. Giunse, a bordo della nostra moto, il Maresciallo che aveva provveduto a raccogliere i cappotti. Gli misi le catenelle stringendo a tal punto da fargli schizzare sangue dai polsi, lo caricammo sulla moto tenendolo tra di noi e lo portammo in caserma. Dopo averlo perquisito, sequestrando tutto quanto aveva nelle tasche ( compresa una grossa somma di danaro) e aver stilato il relativo verbale, lo associammo al carcere San Vittore.
L'operazione mi fruttò cinque giorni di licenza premio, che avrei potuto usufruire al rientro dalla Stazione di Milano Affori dove fui destinato in qualità di comandante interinale in sostituzione del Comandante titolare che doveva usufruire della licenza ordinaria di 40 giorni.

Al cinema.


Mi trovavo in prima serata in un locale cinematografico della mia zona. Mentre assistevo allo spettacolo improvvisamente dalla sala si levarono alte bestemmie, urla e rumore di sedili scardinati dalla base e scagliati contro il muro, tanto che si accesero le luci. Un "bestione" che mi sovrastava di una ventina di centimetri dava in escandescenze provocando quel pandemonio. Vicino a me assistevano alla proiezione tre sottotenenti dell'esercito. Mi alzai, mi presentai agli ufficiali e dopo aver fatto il saluto militare dissi: " Signori Ufficiali, Vi ordino di darmi manforte " Senza fiatare i tre si alzarono e mi aiutarono a mettere le catenelle all'energumeno, e a portarlo in caserma dove lo rinchiusi in camera di sicurezza. La mattina dopo raccolsi a verbale, dal proprietario del locale cinematografico, la denuncia per danneggiamento e trasferii il soggetto alle carceri San Vittore.

La Ronda della Cavalleria.


Premesso che al Carabiniere Pagano furono inflitti alcuni giorni di consegna perchè non si era accorto di una Ronda della Cavalleria e non l'aveva pertanto salutata militarmente, gli promisi che, se si fosse presentata l'occasione, l'avrei vendicato. Destino volle che pochi giorni dopo, mentre in divisa mi aggiravo per il mio territorio mi venisse voglia di un caffè. Entrai in un bar e subito mi accorsi che sopra un tavolino, vicino all'ingresso, si trovavano ammucchiate tre giubbe militari ( una con i gradi di sergente), tre cappelli della Cavalleria e tre cinturoni muniti di fondina il cui contenuto era chiaro: tre pistole di ordinanza. Dalla stanza attigua al locale provenivano urla di incitazione e il tipico rumore della pallina che viene spinta nel campo di gioco: i tre giocavano a calcio balilla. Il barista e gli altri avventori mi guardavano. Mi introdussi nella saletta da gioco ordinando gli attenti. Scattarono come delle molle, mi feci consegnare i documenti rilevandone gli estremi. Il sergente cercò di rabbonirmi, dicendomi " lascia perdere collega, non ci rovinare". Gli risposi: " collega!?, come si permette di darmi del tu, si rende conto che ha davanti un Ufficiale di Polizia Militare ? e stia sugli attenti ! " Poveracci, finirono a Peschiera e il sergente fu degradato, ma l'infrazione era troppo grave e non potevo far finta di niente: armi da guerra alla mercè del primo malintenzionato che passava!

Il lavoro di routine.


Fin quì sembra che il mio servizio d'istituto consistesse nel divertirmi e con lo stare con le ragazze, ma non è così, ...anzi.
Pochi giorni dopo essere giunto alla Stazione di Porta Genova il Maresciallo Severini mi mise alla prova assegnandomi un'indagine piuttosto semplice. I risultati furono talmente lusinghieri da ricevere, da allora in avanti, l'incarico di occuparmi della Polizia Giudiziaria. Quasi ogni giorno, munito della mia Olivetti 44 portatile mi recavo presso le carceri San Vittore, ubicate nella zona di competenza del mio comando, dove, in un ufficio messo a mia disposizione e con l'assistenza di una Guardia Penitenziaria, sottoponevo ad interrogatorio i detenuti, evadendo le richieste in tal senso che pervenivano numerose dagli altri comandi. Fu durante uno di questi interrogatori assunti a verbale che ebbi sentore di un furto avvenuto recentemente nel mio territorio. Erano stati trafugati numerosi piccoli attrezzi elettrici per falegnamerie. Decisi di indagare, anche per mettere alla prova le mie qualità di investigatore, ne parlai al Maresciallo ed egli mi diede carta bianca. Nel giro di tre giorni scopersi l'autore del furto, lo arrestai e mi feci fare l'elenco degli acquirenti. Con un'auto messami a disposizione dal Comando della Legione, con il Carabiniere Pagano che mi faceva da autista ( non avevo ancora la patente di guida), girai per una settimana mezza Lombardia, recuperando gran parte della refurtiva e denunciando per incauto acquisto un gran numero di poveri cristi ( non potevo fre altrimenti) che credevano di aver fatto un affare.
Le mie quotazioni crescevano e la stima dei miei superiori diventava una cosa quasi concreta
( tranne quella del Tenente Ferretti, chissà perchè ! Forse, conoscendo la mia volontà di fare l'ufficiale gli faceva temere che presto lo avrei superato nel grado non pensando che ci volevano almeno quattro o cinque anni perchè fossi nominato Sottotenente ? Oppure era il mio successo con le donne che lo rendeva livido di rabbia ? o era la stima che avevano di me i miei superiori
- anche il Colonnello Comandante della Legione mi fece i complimenti per la brillante operazione da me condotta a termine, avendomene lasciato tutto il merito il mio Maresciallo - ?).
Comunque il sig. tenente Ferretti mi volle con sè alla Tenenza per assegnarmi all'Ufficio I. ( informazioni riservate sul conto di aspiranti allievi ufficiali di complemento). Non ci volli restare e dopo circa un mese, su pressione del Capitano Banchetti, Comandante della Compagnia Suburbana, cui mi ero rivolto per chiedere aiuto, rientrai al mio comando. Durante quel breve periodo ebbi comunque il piacere di incontrare il V.Brig. Paolo Catalano, mio compagno al corso allievi sottufficiali, con cui strinsi sinceri rapporti di amicizia.

Maria Grazia.

Conobbi questa bella ragazza durante una festicciola organizzata da amici. Si stabilì tra noi un certo feeling e ci sentimmo subito attratti reciprocamente, ma con lei le cose andarono diversamente. Ci frequentavamo, stavamo bene insieme, andavamo al cinema, a ballare, a passeggiare, ma oltre a qualche timido bacio e a qualche leggera carezza, non ci spingemmo oltre.
Qualcosa di più intenso stava crescendo tra di noi. Io mi sentivo un verme, pensavo alla mia ragazza lontana e la desideravo vicina a me, ma allo stesso modo desideravo Maria Grazia. Capivo che si stava innamorando di me e che, forse, anch'io mi stavo innamorando di lei. Volevo uscire da questa situazione, ma non sapevo come fare. Lei stessa me ne diede l'occasione in modo molto onesto e intelligente: mi era stata concessa una breve licenza e a lei dissi che l'avrei trascorsa in Sicilia, da mia Madre, mentre in realtà l'avrei trascorsa presso la mia fidanzata ( lei sapeva che avevo una fidanzata). La sera prima di partire in licenza, nel salutarla mi disse: ""Invece di andare dalla tua mamma, vai dalla tua ragazza. Se quando sei con lei non pensi a me, non mi cercare più, ma se mi pensi lasciala, non fare soffrire una di noi due. Al tuo ritorno chiamami se vuoi me ma non telefonarmi se vuoi lei"" Al mio rientro non le telefonai, evitai di frequentare i posti che lei frequentava, mi allontanai anche dagli amici che me l'avevano fatta conoscere. La rividi casualmente qualche mese dopo: passando davanti ad un bar la vidi seduta ad un tavolo con un ragazzo. I nostri sguardi si incrociarono e lessi nei suoi occhi tutto l'amore che ancora provava per me, era come in attesa di un mio gesto per volare tra le mie braccia, ma non dissi nulla, non feci alcun gesto, distolsi lo sguardo dal suo e, augurandole mentalmente tanta felicità , mi allontanai velocemente. Non la rividi più. Povera, cara, Maria Grazia, chissà com'è stata la sua vita! Quando, molto raramente, ripenso a lei, sento il cuore riempirsi di dolcezza e, forse, anche di rimpianti.

Alla Stazione d Porta Genova.


Il Maresciallo Severini aveva una figlia nubile, M., fisicamente florida e piuttosto spigliata. La madre fece diversi tentativi per appiopparmela, ma senza alcun successo: a parte il fatto che non mi piacesse assolutamente, avevo il cervello e il cuore pieni di amore per la mia ragazza lontana, cui scrivevo tutte le sere. Quest'ultima circostanza fu oggetto di garbata presa in giro da parte di Pagano che mi invitava ad uscire la sera per andare a divertirmi: "caro zio, mi diceva, pensi che i vent'anni non tornano più e che ogni lasciata è persa". E poi sembrava che tutte le ragazze di Milano non apettassero altri che me. Mi lasciai convincere ( forse volevo essere convinto) e cominciai a frequentare diverse sale da ballo ( entravo gratuitamente, esibendo la mia tessera di sottufficiale dei Carabinieri) ed ebbi veramente l'opportunità di conoscere e frequentare diverse ragazze, al punto da ritrovarmi impelagato in contemporanea con sette di esse. Ogni sera uscivo con una ragazza diversa e da tutte ottenevo "il massimo". Ricordo che una sera ero in compagnia di una ragazza che faceva la barista in un locale vicino alla caserma. Erano circa le due di notte e la stavo riaccompagnando a casa, in corso Vercelli. Ad un tratto lei mi sussurra " attento, ci viene incontro il tuo tenente" (lo conosceva bene in quanto lo stessa la corteggiava tanto assiduamente quanto inutilmente). Immediatamente tuffai il viso tra i suoi capelli, mi strinsi a lei e, non appena incrociato il "bovaro" le dissi " scusami, devo rientrare immediatamente, altrimenti quello mi frega". Mi diedi alla fuga, attraverso una scorciatoia arrivai ad aprire il cancello di ingresso della caserma prima che il tenente sbucasse dall'angolo della via. Richiusi a chiave e, senza accendere la luce delle scale salii fino al secondo piano dove era la mia camera ( a fianco di quella del tenente). Nel frattempo toglievo l'abito civile. Entrato nella mia stanza, buttai il vestito nell'armadio e mi misi a letto, sempre al buio. In quell'istante sentii i passi del tenente che era giunto al piano. La luce della mia camera si accese all'improvviso, io come se ne fossi stato disturbato, sollevai la testa dal cuscino (avevo avuto l'accortezza di arruffarmi i capelli) e constatata la presenza sulla porta del sig. Tenente, dissi " Comandi!". Mi guardò come se fossi un fantasma, farfugliò un " niente, niente" spense la luce e se ne andò, accompagnato dal mio silenziono " vaffan.......stron....." Quella notte dormii come un angioletto. Qualche mese dopo ci trovammo in servizio di Ordine Pubblico in occasione dello sciopero degli addetti alla distribuzione del gas: io comandavo un plotone di Carabinieri disposto a gruppi di quattro-cinque militari nei punti nevralgici, lui supervisionava il tutto in tutta l'area sorvegliata ( c'erano altri colleghi che svolgevano le mie stesse mansioni ). Mi si avvicinò e dopo aver constatato la regolarità del servizio, con fare molto amichevole mi ricordò l'episodio di corso Vercelli, dicendomi che non era permesso nemmeno ad un sottufficiale girare di notte, in borghese e senza il suo permesso, accompagnandosi con civili, anche se di sesso opposto. Non caddi nella trappola, non ricordai assolutamente l'episodio ma mi presi l'immenso piacere di dirgli " vede signor tenente, conosco un mucchio di ragazze, non posso ricordarmi di tutte" Rimase come un fesso a guardarmi e prima di andarsene mi disse " Lei è il tipico esempio di teddy-boy arruolato nell'Arma dei Carabinieri". Lo mandai, sempre mentalmente, a quel paese e sghignazzando tornai ad espletare il mio incarico.