lunedì 30 giugno 2008

La zia Pina.

Mia zia Pina, quella che quando ero ragazzo faceva parte della mia famiglia, più anziana di me di pochi anni, si era nel frattempo trasferita a Corsico, insieme al marito ( sarto molto esperto: mi confezionò lui l'abito per le nozze ed ancora altri due o tre vestiti) e ai miei due cuginetti, Nicola ed Enzo. Abitavano in un palazzo popolare, all'ottavo piano, e l'immobile era privo di ascensore. Mia zia fu assunta alla Standa, come commessa ed io riuscii a fare assumere mio zio presso la vetreria Lucchini e Perego come operaio non qualificato. I due compensi erano piuttosto miserelli, ma messi insieme bastavano a fare andare avanti la famiglia. Voglio ora però fare un lungo passo indietro, al tempo in cui avevo ancora poco più di cinque anni. Abitavamo a Palazzolo Acreide, in Sicilia, dove è nato mio fratello, e mio Padre in quel piccolo centro faceva il Carabiniere. Il paese era stato occupato dalle truppe americane che si erano acquartierate in una caserma nei pressi della Chiesa. Tra questa e la caserma c'era la casa dove abitava la mia famiglia, compresa la zia Pina, giovanissima sorella minore di mia Madre.
Un pomeriggio mio Padre ed io eravamo andati in campagna, appena fuori dal paese, per cercare delle verdure spontanee ( c'era tanta fame e i viveri scarseggiavano anche al mercato nero, per cui ognuno cercava di arrangiarsi come meglio poteva ) quando all'improvviso sentimmo la sirena che annunciava un'incursione aerea. Alzammo gli occhi al cielo e vedemmo alcuni aerei che sganciavano bombe sopra il paese. Ad un tratto mio Padre mi prese sulle braccia e mi lanciò dentro uno di quei canali per l'irrigazione del terreno, il quel momento asciutto. Anch'Egli si lanciò nel canale, ma sopra di me, per proteggermi con suo corpo. Intorno a noi caddero ed esplosero sette bombe. Rimanemmo fortunatamente illesi. Quando l'incursione aerea ebbe termine, mio Padre mi prese a cavalluccio sulle sue spalle e, imbevuto un fazzoletto in una pozzanghera, me lo sistemò attorno al naso e alla bocca, dicendomi che dovevo respirare attraverso di esso. Iniziò a correre verso casa. Malgrado avessi il fazzoletto impregnato di acqua attorno al naso, sentivo una gran puzza di cordite. Attorno a noi che correvamo si vedevano solo case crollate, incendi, persone morte o agonizzanti stese per terra. A distanza di tantissimi anni, tutta la scena mi scorre davanti agli occhi come in un film visto e rivisto chissà quante volte. Alla fine giungemmo a casa: era intatta, come la caserma, mentre la Chiesa era crollata e in fiamme. Ci precipitammo nell'ingresso dove trovammo mia Madre stretta a sua sorella: tra di loro, come per proteggerlo, mio fratello in fasce che dormiva. Le due donne tremavano come foglie al vento e non sapevano cosa fare, nell'attesa di noi. Subito tutti scendemmo negli scantinati della casa, posti a livello sotterraneo, nel timore di una seconda incursione, cosa che per fortuna non avvenne. I bombardieri avevano indirizzato le bombe verso la caserma, ma l'avevano mancata, colpendo invece la Chiesa posta a una ventina di metri, Chiesa che ora vedevamo in preda alle fiamme e completamente distrutta. Chissà, sarà stata la mano di Dio a guidare quelle bombe e a non farle cadere sulla nostra casa, salvando così delle innocenti creature. Poco tempo dopo mio Padre, dopo un breve periodo di istruzione, venne nominato ViceBrigadiere e trasferito a Noto e poi Comiso, in prov. di Ragusa, dove conobbi e strinsi amicizia con il caro Cabibbo.

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