mercoledì 25 giugno 2008

Oliveri - Tindari






Da Comiso mio Padre fu trasferito a Noto, in prov. di Siracusa e da quì, in qualità di Comandante della Stazione Carabinieri, a Oliveri in prov. di Messina, un centro di pescatori per lo più occupati nella locale Tonnara, una delle più grandi della Sicilia. La cittadina, ora affascinante centro turistico, sorge alle pendici di un monte sulla cui vetta venne a suo tempo edificato il Santuario della Madonna del Tindari, a picco sul mare. Racconta la leggenda che ad una donna sfuggisse dalle braccia il figlioletto e che lo stesso precipitasse nello strapiombo verso il mare sottostante. La povera madre implorò la Madonna Nera perchè salvasse il suo bambino. Immediatamente le acque sottostanti si aprirono facendo affiorare dei banchi di sabbia ( le secche) sui quali il bimbo si posò, sano e salvo. La ricorrenza viene celebrata ogni anno.
Arrampicandomi come una capra di montagna lungo un versante, mi recavo un paio di volte a settimana al Santuario della Madonna del Tindari per "subire" lezioni di sostegno in materie letterarie. Il Prof. era lo stesso sacerdote che appare nella mia foto di gruppo ( al Liceo però insegnava Religione). Ricordo che mi arrampicai fino al Santuario in un giorno in cui si celebrava la festività: c'erano tante bancarelle e trattorie all'aperto. Ero insieme a due amici e l'arrampicata ci aveva scatenato tanto appetito da mangiare un bue. Ci siamo accomodati a un tavolo di una trattoria all'aperto e abbiamo consumato qualcosa come tre Kg di salsicce arrosto accompagnate da due pagnotte di pane e innaffiate da 8/9 litri di birra. Conseguenze: una sbornia di birra che mi ha costretto in casa per tre giorni filati, con un mal di testa incredibile.
A Oliveri, lo stabile adibito a caserma dei Carabinieri presentava, nel lato sinistro al primo piano, l'alloggio di servizio del Comandante, al centro e al piano terra, gli uffici della Stazione ( camere di sicurezza comprese) e sul lato destro gli alloggi dei Carabinieri non ammogliati. Io passavo quasi tutto il mio tempo libero con i Carabinieri al punto di accompagnarli per un bel tratto quando gli stessi uscivano di pattuglia, sognando di essere uno di loro.Nella foto a fianco sono tra i Carabinieri Aversa e Santoro, vicino all'ingresso della caserma. Un pomeriggio, attraversando l'ufficio di mio Padre, salito negli alloggi dei Carabinieri, nella sala mensa vidi un giovane militare che ( mi sembra si chiamasse Polledro, torinese) ,con la testa tra le braccia incrociate e poggiate su di un tavolo dormiva, borbottando qualcosa. Avvicinatomi silenziosamente mi resi conto che pronunciava in latino frasi della Messa ( era uscito dal Seminario per arruolarsi nei Carabinieri ).
al suo " Dominus vobiscum" io rispondevo " et cum spiritu tuo", e lui " Deo gratia", e dopo " Ite, missa est". Povero caro Polledro, i suoi colleghi lo prendevano sempre in giro: lui li guardava e sorrideva, senza scomporsi nè arrabbiarsi. Ho saputo che ha lasciato l''Arma e si è fatto frate.
La Chiesa era nel suo destino.
Posso definire questo breve periodo della mia vita come una parentesi felice ( quante volte uscivo in mare con mio Padre e con alcuni pescatori per andare a pescare di notte con le "lampare" per la cattura di totani ( grossi polpi ) e di giorno con la rete al traino o per prendere i " varatoli", una specie di pesce azzurro che si concentrava in grossi banchi. La pesca avveniva a mezzo di una lenza da cui pendevano quattro o cinque ami; non si faceva in tempo a buttare in acqua la lenza che la si tirava fuori: da ogni amo pendeva un guizzante pesce colore argento), ma l'incanto venne bruscamente spezzato. Nel recarsi al Comando della Tenenza di Barcellona Pozzo di Gotto per riferire informazioni riservate sul conto di aspiranti all'arruolamnto nell'Arma, all'uscita da una curva a gomito, la moto Guzzi 500 superalce su cui viaggiava mio Padre in qualità di passeggero andava a cozzare violentemente contro la parte posteriore di un " carretto siciliano" trainato da buoi. Uno dei manubri per il passeggero gli si conficcava nello stomaco , senza tuttavia penetrarlo ma provocandogli lesioni all'intestino. Dopo 27 giorni di degenza all'ospedale di Barcellona prima e di Giarre dopo, il mio povero Padre esalava l'ultimo respiro a soli 46 anni. Era il 7 marzo 1955. Le sue ultime parole a mia Madre furono di raccomandazione per i "suoi ragazzi". Io e mio fratello eravamo assenti perchè ospiti di una zia. Ricordo i suoi funerali durante una giornata piovosa, con un picchetto armato di Carabinieri al seguito del feretro. Ho ancora nelle orecchie la salva di moschetto al momento della deposizione della salma. Durante il funerale ricordo che dissi a mia Madre: Anche il Cielo piange per la morte di mio Padre.

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